Rappresentanza

La democrazia che caratterizza tutti o quasi i paesi occidentali è anche denominata democrazia rappresentativa, ovvero una forma di gorverno in cui il popolo elegge i suoi rappresentanti perché, riuniti in assemblea, ovvero nel parlamento, approvino le leggi dello Stato.

Per la democrazia contemporanea la forma rappresentativa è quasi senza alternative. La democrazia diretta presuppone che ogni cittadino possa esprimere il suo parere sulle leggi e sulle altre questioni relative al governo della nazione, ma per una nazione da circa 60 milioni di abitanti questo è impossibile. La democrazia diretta si è sviluppata nelle polis dell’antica Grecia, le città-stato in cui tutti i cittadini (Atene è l’esempio più celebre) avevano diritto di voto sul governo della città (soprassediamo qui sugli enormi difetti del sistema ateniese).

Questa premessa per introdurre l’argomento del post. Cosa fanno i parlamentari? Ci rappresentano. Col voto noi li deleghiamo perché portino la nostra voce in parlamento, diciamo che teoricamente dovrebbero portare le nostre opinioni, ma ovviamente questa è solo una teoria astratta. La rappresentanza a mio modo di vedere ha due facce principali: quella territoriale e quella politica. Il parlamentare eletto porta in Parlamento richieste e esigenze del territorio in cui è stato eletto, qualunque sia il suo colore politico. Poi ovviamente c’è la rappresentanza politica che è quella più nota, in base a questa si formano maggioranza e minoranza, si eleggono e cadono i governi.

Alla luce di queste considerazioni non vedo ragioni per cui il numero dei parlamentari debba essere tagliato, dunque voterò no al referendum costituzionale fra pochi giorni.

Il taglio implicherà ovviamente la revisione delle circoscrizioni parlamentari, tradotto: se ci sono meno parlamentari ognuno sarà eletto in un territorio più ampio e dunque dovrà rappresentare un maggior numero di interessi territoriali (col rischio inevitabilmente di farlo peggio). A risentirne saranno soprattutto le aree periferiche, ovvero quelle provinciali. Le grandi città teoricamente sono più tutelate sia per il fatto di essere sotto la lente della grande stampa nazionale sia perché, essendo agglomerati urbani popolosi, avranno sempre e comunque una buona rappresentanza, le aree meno popolate invece rischiano di essere più trascurate rispetto ad adesso.

Dal punto di vista politico invece la diminuzione di parlamentari rischierà di togliere rappresentanza alle formazioni politiche più piccole. Se immaginiamo il parlamento come una torta, la riduzione del numero dei componenti comporterà che gli spicchi siano meno precisi, ovvero che le formazioni politiche che magari hanno comunque un consenso anche se minoritario, non siano rappresentate: anche se poco incisive nella decisione politica tutte le idee (o quasi) avrebbero diritto di tribuna nell’aula parlamentare.

Per concludere perché tagliare il numero dei parlamentari? Davvero non vedo buone ragioni per farlo. Un parlamento con meno teste sarà solo più povero, non più efficiente (tanto la formazione della decisione politica deriva dalla maggioranza, questo meccanismo non cambia). La tesi della maggiore efficacia di un parlamento tagliato mi ricorda le aziende che tagliano il personale, dicendo che si tratta di “rami secchi” e che meno si è meglio si lavora. Immagino che a tanti sarà capitato di sentire discorsi simili e immagino anche cosa si sia pensato in quei frangenti.

Una delle ragioni portate dagli assertori del taglio riguarda i risparmi. I parlamentari costano (ovviamente), meno ce ne sono, meno spenderemo. Al di là della cifra irrisoria del risparmio (per i bilanci di uno Stato), la democrazia dovrebbe essere una di quelle categorie, come la sanità, la scuola e altre, molto importanti nella nostra vita, in cui l’argomento “taglio dei costi” non dovrebbe entrare, posta ovviamente la necessità di evitare gli sprechi. Anche perché se portiamo l’argomento alle estreme conseguenze, tutto il parlamento costa, se lo eliminiamo avremo un risparmio ben maggiore. Ci basterà eleggere l’uomo solo al comando.

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