Il prezzo della democrazia
31/03/2014

Ho già espresso qui la mia opinione controcorrente sulla volontà di abolizione delle province su cui c’è ampia convergenza da destra a sinistra al centro. Qui però vorrei fare una riflessione in più sull’atteggiamento dei nuovi riformisti che ritengono (magari a ragione) di essere investiti del diritto/dovere di cambiare tutto (a modo loro). Ovviamente parlo di Renzi, del suo governo e di chi lo appoggia.
In primo luogo va detto che l’eliminazione delle Province non porterà risparmi così elevati. Perché solo Renzi può dire che questi enti siano inutili. Sono il primo ente intermedio della Repubblica Italiana (nate insieme alla Repubblica, le regioni sono arrivate nel 1970) e svolgono delle funzioni. Consiglieri e giunte provinciali non scaldano la sedia, amministrano servizi come strade, trasporti territoriali, ecc… Questi servizi, tolte le province, dovranno essere gestiti da altri e la gestione avrà dei costi in termini di funzionari e burocrazia. Quello che si toglie sono i rappresentanti del popolo che erano chiamati ogni anno a amministrare tali servizi e magari a renderne conto a fine mandato come avviene nei comuni, nelle regioni e in tutti gli enti democraticamente amministrati. Ecco il punto che volevo sottolineare è questo. Siamo passati dalla necessità di eliminare gli sprechi della politica gli eccessivi rimborsi elettorali e se vogliamo anche gli eccessivi stipendi dei politici (il cui taglio può rappresentare certo un giusto anelito alla pubblica moralità, ma non porterà sostanziali vantaggi ai conti dello Stato) all’eliminazione dei politici. O per meglio dire dei rappresentanti del popolo. Tagliamo consiglieri e giunte provinciali, tagliamo il Senato. In sostanza il messaggio è che la democrazia costa, i rappresentanti eletti sono un costo togliamoli e risparmiamo. Non si vuole più diminuire, ma togliere direttamente.
Di questo passo il parlamento potrebbe essere un costo inutile. Eleggiamo solo il presidente del Consiglio, farà tutto lui. Quest’ultima affermazione è mia ed è un paradosso, ma è il paradosso della logica che sta alla base delle proposte di riforma di Renzi. E io, anche se non mi chiamo Rodotà, non sono concorde.

Three Kings
04/03/2014

I tre re a cui mi riferisco nel titolo (in inglese così magari arrivano lettori dall’estero) sono Renzi, Grillo e Berlusconi.

Perché questa strana riflessione? Perché mi sono reso conto che attualmente in Italia ci sono tre leader carismatici, laddove prima della crisi economica (sociale e politica) ce n’era solo uno. Berlusconi per un ventennio circa (ma si questa periodizzazione in Italia piace ha caratterizzato con il suo potere carismatico la politica italiana. E lo ha fatto non solo quando ha vinto. E’ sempre stato lui il deus ex machina per la semplice ragione che il suo potere ha coagulato la politica italiana intorno a due poli, coloro che lo seguivano e coloro che lo contrastavano. Questi ultimi si schieravano con le forze politiche contrarie facendole occasionalmente anche vincere.

Dopo la crisi economica e sociale dell’Italia, più o meno a partire dal 2011, il fascino carismatico del potere si è frammentato, ma non è decaduto. al contrario. La politica come sistema di governo e amministrazione ha perso sempre più credibilità, sia a causa di scandali giudiziari, sia perché semplicemente vissuta come parassita. Gli appartenenti alla casta sono stati identificati come fossero i responsabili dei mali della nazione, coloro che nulla hanno fatto per l’occupazione, per la crescita, ecc… e che al contrario si sono arricchiti prendendo stipendi e prebende, gli odiati rimborsi elettorali. Persa la fiducia nel sistema di governo in se, nei suoi meccanismi e nei suoi rappresentanti, era inevitabile la nascita di forme di potere carismatico. Resta sempre presente anche se mi sembra un po’ al tramonto (ma con lui non è mai da dire) la figura di Berlusconi, che per rivitalizzarsi ha deciso il ritorno alle origini a Forza Italia. Non è un caso perché Forza Italia rievoca la rivoluzione del ’94, lo spirito delle origini, di cui l’ormai vecchio leader ha ancora bisogno.

Poi c’è Grillo. L’autoproclamatosi re del web annuncia la fine del sistema politico in toto, il suo rovesciamento attraverso le elezioni. Anche la sua è una carica rivoluzionaria e le fibrillazioni interne lo stanno dimostrando. Ogni elemento dialogante col resto delle forze politiche è visto come una pericolosa contaminazione da espellere dal corpo dei rivoluzionari. E i risultati delle sue consultazioni su Internet lo dimostrano. I seguaci sono più realisti del re, credono in Grillo e nel suo messaggio rivoluzionario, coloro che sono stati votati in Parlamento sono lì solo grazie al mentore e non devono mostrare divergenze dalla sua linea.

Infine Renzi, l’ultimo arrivato anche se non è poi così nuovo. Anche lui è rivoluzionario, diventato presidente del consiglio in maniera fulminea dichiara di voler cambiare tutto, di voler fare. Dice anche di essere l’ultima speranza prima del baratro. Per la politica tradizionale, di cui in ogni caso si è servito per arrivare, è effettivamente tale, ma è anche vero che non ne fa parte e che l’apparato del Partito democratico lo subisce, anche se potrebbe essere la sua ultima risorsa per andare oltre il suo tradizionale elettorato. Renzi ha indubbiamente introdotto il nuovo spirito nell’ultimo partito tradizionale della Repubblica italiana. Lo dimostra il discorso al Senato nel quale il nuovo presidente del Consiglio ha fondamentalmente strigliato l’aula e parlato a chi lo vedeva a casa in televisione. E il Senato ha ricambiato l’ostilità con cui si è presentato Renzi.

Difficile trovare tre rivoluzionari concentrati nello stesso luogo e nello stesso periodo. Quanto dureranno?

PS: Sono stato un po’ assente da qui, ma nel frattempo ho scritto questo. Grazie alla rivista on line www.kultural.eu per avermelo pubblicato.